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<h2>Bello il mio paese</h2>

di BANAUDI NADIA

Tra i tanti posti che amo, questo li supera tutti, da sempre e per sempre mi sento di confermare.

E’ come se fosse rubato al tempo ed allo spazio, abbarbicato ai piedi della montagna e trattenesse non solo ricordi e storia, ma molto di più.

Da quando sono piccola ogni estate, ad ogni vacanza è la mia meta.

Mio padre c’è nato, prima di lui ogni membro della sua famiglia e nel sangue una sorta di radice montanara deve essere attecchita.

Di per sé è un paesino montano come tanti, con salite ripide, pietre ed erba a far da cornice, miste alle trasparenti acque ed un cielo che non si può immaginare più incantevole. Di giorno illumina e rischiara di un azzurro intenso e rigenerante e la notte brilla di un tripudio di stelle. Nel silenzio della sera ha il profumo della pace, tra il concerto di grilli e lucciole che mettono in mostra il loro spettacolo di danze luminose.

Ma questa si sa è la montagna.

 

E’ un patrimonio della mia infanzia, che continua a farmi innamorare nonostante gli anni si accumulino.

Questa piccola manciata di case, al confine tra le due regioni Piemonte e Liguria, ha la caratteristica di affacciarsi sulle Alpi Marittime e godere di un panorama incantevole, restando a meno di un’ora dal mare di Imperia. Porta un nome curioso, di quelli che raccontano già la loro appartenenza, infatti Piaggia, è un tratto di terreno in pendio e la posizione che ricopre è esattamente quella.

Amandola posso vantare di aver solcato i suoi sentieri in largo e in lungo, avventurandomi alla ricerca delle sorprese che solo la natura regala. Non esiste emozione più grande del vedere con i propri occhi gli animali selvatici girare liberi nel bosco ed incontrarli nel percorso, senza parlare di quando sussulta il cuore al rumore imprevisto! Che si tratti di lepre, cinghiale o stambecco. Che voli nel cielo e ti fischi il suo stupore con le ali distese ad oscurare il sole.

Ma non è nemmeno necessario allontanarsi troppo dal paese per avere esperienze di questo genere, basta salire al primo colle, sopra le ultime case, per immergersi nell’immensità che alberi ed infinito regalano.

Da quando poi è stata aggiunta la statua dell’Angelo della valle il tutto è ancora più spirituale. Chiude il trio di statue che sorvegliano la zona. Da un lato della sua immensa altezza quella del Redentore sovrasta i prati di Monesi e le sue piste da sci, dall’altro la Madonna del Frontè offre il suo sguardo al versante sopra la vallata ingauna concedendo una sorta di protezione dall’alto.

 

Bello il mio paese

 

Starei ore a godere di quella sensazione di appartenenza che sboccia sulle ali del vento e si trasforma in nuvole bianche come la panna, mentre ogni singolo particolare ti rimette al mondo, inebriata dai colori dei rododendri in fiore, sparsi a macchie, dal profumo gradevole della lavanda sbocciata. Con la schiena poggiata al masso muschioso, a vedere file di formiche partire all’avventura, in quel tempo rallentato che sa di eterno e mistico, senza le regole della città, dove lo stress prende il volo e lo scaccia ogni respiro fatto di quell’aria pura.
 
Ogni posto è pace, vita e felicità, ma raramente tutti e tre insieme, poiché spesso mente e cuore non concordano.
 
Per me solo qui è possibile ritrovare il giusto equilibrio.
 
E allora spazia la memoria a braccetto con il silenzio, allungo lo sguardo sopra i tetti come se potessi entrarci dentro, e ricordo gli abitanti scomparsi, ricordo quel sostare nei vicoli, il chiacchiericcio intorno al forno del paese per cuocere a turno il pane, le torte, le bontà. Vedo gambe corte nude, correre per le salite con i fiaschi in mano andare per acqua, perché si sa “quella della Foce è più buona”.
 
Come se un film scorresse veloce sul filo della reminiscenza. Sono io che corro, è la nonna che chiacchiera, sono gli uomini del paese a bere un gotto di vino rosso davanti alla bocca del forno, sono delle case vicine i profumi che salgono nell’aria. Sento distintamente quel parlare brigasco, più occitano che italiano, quelle inflessioni dialettali quasi scomparse, i campanacci degli animali al pascolo, le risate delle donne al lavatoio. Quanto possono essere radicati certi ricordi, lo capisco solo ora che la mente richiama voci e immagini dall’archivio.
 
E’ silenzioso ora il mio paese, precipitato nella quiete della solitudine che l’uomo le ha restituito. Scorre il fiume implacabile, come il tempo, statuarie le pietre sovrane del luogo, nuvole veloci scivolano nel cielo, mischiandosi al suo blu impeccabile e diventando il gioco di un pittore incostante che ne vuole cambiare colore.
 
Bello il mio paese, solitario e arrampicato sulla roccia, ad aspettare che lo baci il sole, fermo, immobile, per sempre immerso in questa rara pace di serenità.

Banaudi Nadia